
L’idea della scuola di geopolitica di quest’anno nasce dall’esigenza di cercare un ordine nel disordine e una razionalità nella complessità di ciò che sta avvenendo nel mondo. La storia sembra aver messo l’acceleratore, almeno dal nostro punto di vista di cittadini occidentali: dalle crisi finanziarie iniziate nel 2008, la pandemia di Covid-19, la guerra in Ucraina, l’esplosione del Medio Oriente tra Cisgiordania, Palestina e Siria, i colpi di stato in Africa che rovesciano regimi filoccidentali, le elezioni annullate in Romania fino al recente piano di riarmo voluto dal Consiglio UE.
Tutto ciò ci parla di un mondo in tumulto che sembra precipitare sempre più vicino al baratro, con lo spettro di una guerra nucleare che si fa via via più concreto. Questo clima di paura giustifica sempre più spesso l’adozione di misure “emergenziali” che scavalcano i processi democratici in nome di nuove “urgenze”, rispetto alle quali pare non si possa far altro che eliminare i “lacci e lacciuoli” delle burocrazie liberal democratiche.
Per cercare di individuare una possibile interpretazione unitaria di questi fenomeni ci siamo serviti degli studi di uno dei massimi esperti delle teorie del sistema-mondo, Giovanni Arrighi.
Mancato nel 2009, Arrighi non ha potuto assistere agli ultimi sviluppi che oggi ci preoccupano, ma la sua teoria aveva ampiamente previsto l’imminente declino dell’egemonia statunitense alla quale molto di ciò che accade oggi può essere ricondotto.
La cosiddetta teoria del sistema-mondo nasce come evoluzione della teoria marxista della dipendenza – a sua volta erede delle teorie sull’imperialismo di Lenin – la quale definisce l’imperialismo non più solo come una politica aggressiva o di conquista da parte di uno Stato verso un altro, ma come un più sofisticato rapporto di subordinazione nel quale uno Stato è asservito ad un altro Stato attraverso varie leve di tipo militare, ma soprattutto economico. La teoria del sistema-mondo concepisce quindi gli Stati-nazione come parti di un unico sistema capitalistico che ha il suo centro e le sue periferie, e non più come nuclei autonomi ciascuno con le proprie politiche e il proprio sistema economico.
Un esempio di come questo meccanismo globale opera lo forniscono vari enti come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale che a fronte di aperture di credito costringono i Paesi debitori ad adottare politiche favorite da chi controlla il sistema finanziario. La capacità degli USA di manipolare a proprio vantaggio le politiche finanziarie mondiali attraverso il monopolio del dollaro è un unicum nella storia umana fino ad oggi, e infatti la nascita di potenziali poli finanziari alternativi come i BRICS guidati dalla Cina sono una diretta minaccia per l’egemonia a stelle e strisce. Secondo la lente interpretativa fornita da Arrighi, quindi, sebbene esistano molte grandi potenze in un mondo capitalistico esiste solo un vero e proprio Impero capace di centrare su di sé l’attrazione dei capitali finanziari e quello sono oggi gli Stati Uniti.
Tuttavia, come anche l’Impero britannico che lo ha preceduto, l’Impero USA è destinato a cedere terreno ad un nuovo egemone. Questo perché le caratteristiche stesse del capitalismo fanno sì che, una volta saturate le capacità di investimento, la crescita rallenti e i capitali vengano attratti verso Paesi in fase di sviluppo, più dinamici e dal maggior potenziale di crescita.
L’anomalia dell’Impero statunitense, rispetto a quelli che lo hanno preceduto, è che possiede una capacità di controllo sull’economia globale e una potenza militare mai vista prima, e ha già dimostrato di essere disposto a dispiegarla a qualsiasi costo pur di conservare il proprio primato. Quasi ogni avvenimento degli ultimi decenni può essere letto, alla luce di questa consapevolezza, come un tentativo di manipolare le economie mondiali, sabotare Paesi emergenti e sottomettere Paesi ribelli per impedire la transizione egemonica.
Non si vuole però con questo adottare un approccio riduzionista: non tutto ciò che avviene nel mondo avviene per volontà degli Stati Uniti, e ad ogni modo le stesse operazioni degli apparati USA generano spesso conseguenze impreviste. Tuttavia, saper individuare fra le varie forze in gioco quella dell’interesse nazionale statunitense equivale a individuare la direttrice più importante della storia contemporanea, e quindi del nostro possibile futuro.
L’Italia, e con lei molti Paesi europei, si trova in una condizione estremamente precaria. Da un lato, siamo parte di quel mondo privilegiato dove i vantaggi dell’Impero ancora si fanno sentire, ma dall’altro lato ci troviamo nella periferia, e la crisi degli Stati Uniti potrebbe voler dire che saremo i primi a venire sacrificati, come alcuni temono stia già accadendo con le politiche “America first” dell’amministrazione Trump.
Eppure, se le classi dirigenti italiane trovassero la capacità di interpretare la geopolitica, potrebbero tentare di navigare questa età di grandi transizioni con una strategia che ci prepari a possibili scenari futuri. Ad esempio, cercando una propria egemonia nell’area del Mediterraneo grazie alla propria posizione strategica, e rilanciando la propria industria nell’ottica di un potenziamento dei legami commerciali con l’Africa in crescita, o ancora rinforzare i rapporti commerciali con la Cina grazie alla Nuova Via della Seta.
Le possibilità sono senz’altro molte, e molte le possibilità di sbagliare, ma nulla sarebbe così fatale per il nostro Paese come subire passivamente gli avvenimenti, e se la nostra classe dirigente non saprà cambiare, allora sarà necessario cambiare la nostra classe dirigente.
Su questi scenari discuteremo insieme a voi con l’aiuto di pensatori e intellettuali che hanno dedicato la propria vita allo studio della complessità e dei rapporti internazionali. La speranza è che questa scuola possa stimolare il dibattito sulle nostre possibilità come sistema-Paese e preparare il terreno per un nuovo piano d’azione.
Matteo Nepi
Idee Sottosopra