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L’Italia è già vecchia. Non è un Paese per giovani (e nemmeno per migranti)

Immaginate un enorme villaggio vacanze, con sole, buon cibo, mare azzurro e… nessuno sotto i cinquant’anni. Questo rischia di diventare l’Italia tra venti o trent’anni: il giardino d’Europa, perfetto per pensionati in cerca di relax e turisti di passaggio. Ma dietro il profumo di agrumi e le foto-cartolina si nasconde il vero problema: una società che invecchia a rotta di collo e non ha più le forze per reggersi da sola.

Non è uno scenario da romanzo distopico. È quello che raccontano i numeri dell’Eurostat, quelli che nessuno vuole guardare troppo da vicino. Nel 2023, la percentuale di bambini e adolescenti in Italia è tra le più basse d’Europa. Siamo dietro alla Francia, dietro ai Paesi Nordici, dietro perfino alla Spagna. Peggio ancora: l'età mediana è schizzata a 48,4 anni, battendo anche i "vecchi" tedeschi. In pratica, siamo il Paese più anziano d'Europa. Campioni di longevità, sì. Ma senza ricambio.


E mentre la natalità crolla (1,20 figli per donna nel 2024, roba che neanche le politiche più aggressive basterebbero a risollevare), qualcuno dice: “Vabbè, arriveranno i migranti, riempiranno il vuoto”. Peccato che neanche questo scenario si stia realizzando. I flussi migratori in Italia non solo sono contenuti, ma spesso passano e vanno altrove. Da anni, il nostro Paese viene vissuto più come terra di transito che come meta di approdo. Gli altri si tengono i giovani migranti che vogliono costruirsi un futuro. Noi, invece, abbiamo passato anni a gridare all’“invasione”, salvo poi ritrovarci senza manodopera e senza idee.

E intanto, chi dovrebbe rappresentare il cuore produttivo del Paese – la Generazione X – è già sulla rampa di lancio per la pensione. Con il risultato che tra dieci, quindici anni il sistema sanitario rischia di esplodere, stretto tra una popolazione anziana crescente e una base di lavoratori troppo piccola per sostenerla.

Il dramma non sta solo nei numeri, ma nel fatto che continuiamo a trattare la questione demografica come fosse una fastidiosa tabellina da ignorare. Si buttano bonus qua e là, si fanno proclami, si pensa che basti qualche incentivo fiscale per far tornare le nuove generazioni a riempire le culle. Ma chi vive nella precarietà, chi lavora per stipendi da fame o emigra all'estero per trovare dignità professionale, difficilmente si convincerà con due spiccioli e una promessa elettorale.

Il vero pericolo non è solo la denatalità. È la frantumazione sociale e territoriale che potrebbe seguire. Il Sud e le aree interne rischiano il tracollo. Il Nord, senza un piano lungimirante, potrebbe finire a traino di potenze estere più giovani e più aggressive, magari diventando un satellite economico dei francesi o dei tedeschi. Oppure – chissà – fra qualche decennio sarà l’Africa, con la sua forza demografica, a riempire il vuoto che noi non abbiamo voluto (o saputo) colmare.

La domanda che nessuno fa è: cosa sarà dell’Italia tra trent’anni? E chi la governerà? Perché il Paese di oggi, così com’è, senza giovani, senza migranti stabili, senza visione, rischia di non esistere più.

 
 

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