Trump, Putin e la tregua che non c’è: dietro le quinte di una telefonata
- Giando
- Mar 18
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Diciamolo subito: il Cremlino quando pubblica comunicati non è famoso per il suo understatement. E infatti, il resoconto del colloquio telefonico tra Donald Trump e Vladimir Putin uscito sul portale ufficiale russo ha il tono trionfale di chi vuole dettare l’agenda globale. Ma leggendo tra le righe, si capisce che sotto la patina diplomatica si nascondono tre messaggi chiari e piuttosto muscolari, che meritano di essere guardati con attenzione.

Riassumiamo la sostanza. La Russia, per bocca di Putin, mette in fila tre condizioni nette per poter parlare di cessate il fuoco in Ucraina: stop immediato alla mobilitazione forzata di Kiev, fine degli aiuti militari stranieri e chiusura dei rubinetti dell’intelligence occidentale verso l’Ucraina. Tradotto: Mosca vuole che Zelensky resti senza esercito, senza armi e senza informazioni. Una richiesta che non suona esattamente come un’apertura, ma piuttosto come un invito a deporre le armi senza condizioni.
Nel frattempo, Trump avrebbe proposto un congelamento degli attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine per 30 giorni. Putin, sempre secondo il comunicato, avrebbe accettato e già trasmesso l’ordine all’esercito. Un segnale distensivo? Forse. O forse solo un gesto calcolato per smorzare le critiche internazionali e presentarsi come l’interlocutore “ragionevole”, a differenza di un’Ucraina dipinta ancora una volta come inaffidabile e, parole testuali, incline a sabotare ogni accordo.
Non è finita qui. Putin spinge per trasformare la questione ucraina in un dialogo esclusivo con Washington, lasciando intendere che Kiev non sia un attore credibile. È una mossa astuta, che mira a bypassare completamente l’Europa e tagliare fuori Bruxelles, Parigi e Berlino dal tavolo delle decisioni. Non che sia una novità: da tempo il Cremlino tratta l’Ucraina come un terreno di confronto tra grandi potenze, dove i destini dei locali si decidono altrove.
Sul finale del comunicato, poi, si passa dal gelo alla diplomazia sportiva: si parla di hockey, di partite tra squadre russe e americane, quasi a voler mettere il sigillo su un clima improvvisamente disteso. Ma anche qui, chi legge con attenzione sa che tra una pacca sulla spalla e un memorandum firmato c’è un abisso.
Il vero nodo è che i punti elencati da Mosca sembrano messi sul tavolo più per bloccare ogni reale spazio negoziale che per facilitarlo. In pratica, viene chiesto all’Ucraina di disarmarsi senza garanzie, mentre Putin prova a ridisegnare i rapporti internazionali a due, USA-Russia, come ai bei tempi della Guerra Fredda.
Il problema, però, è che nel frattempo la realtà sul campo racconta un’altra storia. Da un lato un’Ucraina che, pur tra mille difficoltà, non ha intenzione di arrendersi. Dall’altro, un Occidente che continua a fornire sostegno, seppur con crescenti malumori interni. E poi c’è Trump, che da candidato in piena campagna elettorale potrebbe aver tutto l’interesse a giocare la carta del “grande mediatore”, anche a costo di concedere troppo.
Insomma, quello che il Cremlino ci racconta oggi non è necessariamente quello che succederà domani. E se è vero che nella telefonata qualche piccolo segnale di de-escalation c’è, è altrettanto vero che il prezzo richiesto è tale da rendere la tregua più un miraggio che una prospettiva concreta.
Per ora, quindi, il colloquio tra Trump e Putin resta quello che sembra: un esercizio di diplomazia coreografica, dove ciascuno recita la propria parte, ma il copione finale è ancora tutto da scrivere.