Quando, nella bolgia infernale dei “treni del sole”, venivo gettato nel finestrino dello scompartimento col compito di tenere i posti per tutta la famiglia.
Io me lo ricordo,
passare la notte ammassati su quei treni, dormendo sulla rete dei bagagli e fare pipì nella bottiglia.
Io me lo ricordo ,
la notte sul tetto a terrazza dei nonni addormentarmi con mio padre a fianco contando i milioni di stelle che solo nel buio totale di allora si potevano guardare.
Io me lo ricordo,
il calore della gente che si fermava , estranea, a mangiare le lumache al sugo della nonna, le enormi angurie, i fichi succosi salendo sugli alberi.
Io me lo ricordo,
le fresche albe a piedi con il nonno vestito come a messa e la zappa sulle spalle e tra le mani un cesto con friselle, pomodori, e olive per fare colazione in masseria, prima della semina del tabacco
Io me lo ricordo,
lo straziante salutarsi sullo stesso treno del ritorno, il pianto di mia madre, il silenzio di mio padre, gli occhi lucidi dei vecchi e le valigie con la corda ricolme di cibo e triste angoscia.
Io me lo ricordo,
il maledire il giorno e i perché di quell’esodo indotto per lavoro e perdere giorno dopo giorno un pezzo di umanità lasciando la propria terra, spezzando i propri affetti, sminuendo la propria storia
Io me lo ricordo,
il pallido disagio che sentivo sulla pelle quando, tornato nella sgangherata casa di ringhiera, assaporavo la sensazione di estraneità.
SI, IO ME LO RICORDO
giugno 2019, Vitaliano Serra