recensione al libro omonimo di Demostenes Floros
La strategia per il gas naturale dell’Italia tra Federazione russa e Nato
L’economista Demostenes Floros, analista economico esperto di energia, è uno studioso prezioso per comprendere il ruolo della produzione e del trasporto dell’energia nel conflitto in corso alle porte dell’Unione Europea.
Il testo preso qui in esame, Guerra e pace dell’energia. La strategia per il gas naturale dell’Italia tra Federazione russa e Nato (Diarkos, 2020), mette in luce le profonde relazioni tra energia, economia e geopolitica, con una particolare attenzione agli elementi politici relativi ai progetti di approvvigionamento energetico europeo e asiatico.
Secondo quasi tutte le stime, il ruolo del gas naturale aumenterà nel paniere energetico futuro mondiale, complici l’inquinamento relativamente basso (soprattutto rispetto al carbone), il costo inferiore al petrolio, nonché la facilità nel trasporto e nell’immagazzinamento. Ne consegue una forte leva di influenza geopolitica per i produttori, prima fra tutti la Federazione russa. Fu lo stesso Vladimir Putin, infatti, ad esprimersi in questi termini nel 2003: “Il ruolo della Russia nei mercati energetici mondiali determina in larga misura la sua influenza geopolitica”.
La Russia di Putin nel contesto internazionale
Dopo il declino economico russo degli anni 90, successivo alla fine dell’Unione Sovietica e alla politica economica di Boris Eltsin, la Russia è riemersa come potenza economica, militare e politica; con i paesi emergenti (BRICS) e soprattutto la Cina, è ora in grado di modificare gli equilibri geopolitici dell’unilateralismo statunitense, verso un ordine multipolare[1], a cominciare dalla sua rinnovata influenza sulle repubbliche centroasiatiche, in particolare con l’OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) e l’UEE (Unione Economica Eurasiatica). È questa la principale ragione per cui, negli ultimi anni, è stato di fatto impossibile escludere la Russia dalla rete di pipelines che dalla regione portano il gas in Europa.
Non solo. Il rapporto tra UE e Russia è andato progressivamente infittendosi proprio in relazione ai gasdotti. Difatti, le riserve energetiche di gas europee si sono progressivamente esaurite dopo il picco degli anni 80 e il gas è diventato sempre più importante nel mix energetico europeo. Dunque, la necessità europea di flussi costanti di energia a prezzi stabili, unitamente al fatto che il mercato europeo rappresenta poco meno di due terzi del totale delle esportazioni russe, costituiscono il cuore dell’interdipendenza eurasiatica. Come ha detto l’ex ambasciatore e osservatore Sergio Romano, “non conosco altri due blocchi economici che abbiano una tale complementarietà”[2].
La partnership Italia-Russia
In tale contesto continentale l’Italia, seconda manifattura europea e paese particolarmente energivoro, è – o, meglio, dovrebbe essere – particolarmente interessata ad una cooperazione con la Russia. In effetti, i due paesi stilarono il primo contratto di fornitura di metano nel 1969 e di petrolio nel 1958 (per forte volere di Enrico Mattei).
La co-necessità dei due paesi emerge in particolar modo vista la redistribuzione geografica dell’attività manifatturiera verso l’Eurasia e il Pacifico (l’Italia è rimasta stabile nella classifica dei paesi più industrializzati, ma, come agli Stati Uniti, registra una significativa perdita di posti di lavoro nella manifattura dal 2000 ad oggi). Principalmente la Cina avrà nel prossimo futuro la necessità di un nuovo sodalizio con la Russia[3]. Ciò si accompagna a una crescita della domanda mondiale di gas. Tali mutazioni nell’ordine economico globale, secondo Floros,
“oltre a mettere in luce il superamento dei rapporti di forza determinatisi all’indomani della fine della Guerra Fredda, appaiono come l’elemento strutturale per la definizione di un nuovo contesto geopolitico attualmente in formazione: le possibili sinergie tra l’Italia e la Federazione Russa – all’interno della nuova divisione internazionale del lavoro – sembrano un’occasione da cogliere al volo”.
South Stream, il “tubo della discordia”
Il South Stream è stato un progetto congiunto – definitivamente accantonato nel 2014 – di Eni, Gazprom, Edf e Wintershall, finalizzato a diversificare le linee di transito del gas naturale dalla Russia al Sud e Centro Europa; il condotto avrebbe attraversato il Mar Nero e i Balcani, dunque direttamente dal produttore ai paesi consumatori, aggirando l’Ucraina e le dispute tra Stati riguardo all’attraversamento, che comporta spesso minor sicurezza nell’approvvigionamento. Per la Russia sarebbe stata garantita la stabilità della domanda. Il gasdotto avrebbe portato fino a 63 Gm3 all’anno dalla Russia a Baumgarten (sul confine Austria-Slovacchia), centro di smistamento dove tutt’ora arriva la maggior parte del gas russo.
Gli Stati Uniti furono contrari ed ostacolarono in ogni modo (in particolare, esercitando forti pressioni sulla Bulgaria), ritenendo il progetto un ricatto della Russia verso l’Ue (Italia come anello debole nei rapporti con Mosca). A tal proposito è opportuno ricordare che negli ultimi anni gli stessi USA hanno fatto dell’esportazione di energia un caposaldo della propria politica estera.
Agli USA era chiaro che la Russia, primo esportatore al mondo di gas, fosse tra le principali fonti per l’Europa. Inoltre, come anticipato, la necessità della Russia di esportare il gas (nel 2018, il 67% delle esportazioni russe riguardavano combustibili fossili, e di questi, il 61% erano dirette all’Europa) mostra come, soprattutto per paesi come Italia, Germania e Francia, quello con la Russia è un rapporto di interdipendenza, non di subordinazione, non solo in quanto i paesi europei sono grandi mercati finali, ma anche perché sono coinvolti in investimenti in importanti attività upstream(esplorazione e produzione). Facendo l’esempio italiano, nel 2018 il paniere energetico era composto al 39% da gas naturale; il rapporto tra import dalla Russia e consumi era del 41%; a proposito in interdipendenza, Saipem è azienda leader nella costruzione di gasdotti e oleodotti. Inoltre, intensificare i rapporti bilaterali avrebbe aumentato la possibilità di incidere sui prezzi. Infine, il progetto South Stream, con l’ingresso dei capitali francesi e tedeschi, avrebbe dato vita ad un’infrastruttura a tutti gli effetti europea.
In termini riassuntivi, nel rifiuto del progetto non è stato debitamente tenuto in considerazione l’interesse nazionale in un paese che deve trovare una posizione all’interno della nuova divisione internazionale del lavoro, in cui dunque il tema dell’energia è esiziale:
“Si auspicava che il progetto South Stream […] potesse contribuire ad assumere per l’Italia un ruolo analogo a quello che ebbero i navigli per Milano e per la Lombardia del tempo, il cui ulteriore sviluppo – dovuto a geni quali Leonardo – creò alcune delle condizioni che diedero alla luce il cuore economico del futuro Stato unitario”
Nel quadro va anche ricordato l’aumento della domanda cinese di gas. Già nel testo preso in esame, prima dunque dell’intesa russo-cinese sulla pipeline siberiana, Floros prevedeva che la “costrizione reciproca” tra Russia ed Europa si sarebbe allentata, tenuto conto della crescita dei consumi energetici cinesi.
Gli americani sostennero il progetto alternativo Nabucco (Baku-Ankara), finalizzato a diversificare le fonti di approvvigionamento europeo e ridurre la dipendenza dalle importazioni russe (aggirandone il territorio), anche se in realtà, come mostra Floros, la produzione di Baku non sarebbe stata sufficiente a sostituire o almeno ad integrare in maniera adeguata il gas russo. Nabucco avrebbe anche sostituito due progetti – TAP e ITGI – che avrebbero portato il gas direttamente in Puglia, non soddisfacendo il fabbisogno energetico italiano, ma migliorando sia la diversificazione sia la posizione internazionale italiana (il paese sarebbe diventato un hub per l’Europa meridionale). Non solo: il paese sarebbe risultato meno esposto ai ricatti dei paesi dell’Europa centro-orientale, Ucraina compresa.
Conclusioni
Dall’inizio dell’invasione russa in ucraina il tema dell’energia si è imposto in maniere prepotente nel dibattito pubblico. Sono molti i commenti preoccupati sul declino economico italiano (ma non solo) per la mancanza di sicurezza energetica. Il testo di Demostenes Floros mostra come i contenziosi sugli approvvigionamenti energetici hanno una lunga storia: il quadro che emerge dal racconto – di cui noi abbiamo ricordato solo l’esempio del South Stream – evidenzia la strategia americana di separare la Federazione russa dall’Europa, che si trasforma sempre più in una provincia dell’Impero. Le esplosioni del Nord Stream II sono solo l’estrema conclusione di un pluriennale tentativo smottamento geopolitico.
Seguire i percorsi del gas naturale è dunque un punto di vista preferenziale per comprendere le ragioni di lungo periodo del conflitto in corso, nonché le prospettive che si aprono per l’Italia e il Vecchio continente.
[1] Per alcuni siamo già in mondo multipolare. Emergono nuove potenze, ma anche contraddizioni in senso alla stessa NATO e all’UE (come evidenzia la tendenza autonomistica tedesca). [2] Conferenza tenuta il 16 maggio 2018 presso palazzo Clerici, sede dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano (https://www.youtube.com/watch?v=oI5hOyJK82U). [3] È significativo che la volontà americana di alimentare ad libitum il conflitto russo-ucraino ha il paradossale (quanto masochistico) effetto di rinsaldare il sodalizio russo-cinese. Già nel 2014 John Mearsheimer, politologo e professore all’Università di Chicago, si esprimeva così: “The United States will also someday need Russia’s help containing a rising China. Current U.S. policy, however, is only driving Moscow and Beijing closer together” (Mearsheimer, John J., Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault. The Liberal Delusions That Provoked Putin, Foreign Affairs, Settembre/Ottobre 2014, https://www.mearsheimer.com/wp-content/uploads/2019/06/Why-the-Ukraine-Crisis-Is.pdf).
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