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Il tramonto del gigante. La crisi del modello industriale tedesco.

Writer: GiandoGiando

Il modello industriale tedesco, architrave della forza e della stabilità economica dell'Unione Europea, sta affrontando sfide senza precedenti. Fondato su un approccio neo-mercantilista, la Germania ha storicamente privilegiato forti esportazioni, solidità industriale e un quadro ordoliberale che favorisce l'austerità fiscale e una crescita salariale moderata. Tuttavia, questo modello, vincente negli ultimi due decenni, mostra oggi le sue crepe al mutare delle condizioni globali.


L'industria automobilistica, pietra angolare dell'economia tedesca, ne è l'esempio emblematico: Volkswagen, il principale costruttore nazionale, sta chiudendo stabilimenti e tagliando posti di lavoro durante una difficile transizione ai veicoli elettrici, settore ormai dominato dai concorrenti cinesi.

Le difficoltà si estendono al settore high-tech, in particolare nei semiconduttori, dove l'ambiziosa candidatura tedesca alla leadership europea nella produzione di chip si è arenata. Intel ha recentemente annunciato lo stop al suo progetto da 33 miliardi di euro per creare un polo produttivo a Magdeburgo, un duro colpo agli sforzi del cancelliere Olaf Scholz per industrializzare la Germania orientale e consolidare la collaborazione tecnologica Germania-USA. Analogamente, Wolfspeed, altro colosso americano, ha cancellato un impianto di chip al carburo di silicio da 3 miliardi di euro a Ensdorf, nella Germania occidentale. Questi progetti, inizialmente motivati dalla domanda prevista per componenti di veicoli elettrici, hanno subito battute d'arresto significative, riflettendo una crisi più profonda nell'adattamento industriale tedesco.

In Germania rimane solo un'iniziativa significativa sui semiconduttori: un progetto da 10 miliardi di euro guidato dalla taiwanese TSMC, insieme a Infineon, NXP e Bosch, sostenuto da 5 miliardi di aiuti governativi. Tuttavia, le difficoltà tedesche potrebbero compromettere anche la più ampia ambizione dell'Unione Europea di conquistare, attraverso il Chips Act, il 20% del mercato globale dei chip entro il 2030. Questo rallentamento evidenzia le sfide nella creazione di economie di scala essenziali per competere nei settori high-tech, come l'IA e le energie rinnovabili, fondamentali per gli obiettivi strategici europei di lungo termine.

Sul piano politico, queste sfide economiche hanno intensificato il dibattito, con voci come Sahra Wagenknecht, figura di spicco della sinistra, che criticano l'adesione continua della Germania all'austerità e agli alti costi energetici. Wagenknecht sostiene che le politiche economiche tedesche abbiano alimentato la disuguaglianza e destabilizzato la classe media, e chiede un cambiamento economico che privilegi il welfare sociale e contrasti gli effetti negativi della globalizzazione. La sua posizione sottolinea un crescente sentimento populista in linea con il sentimento di un vasto elettorato soprattutto delle zone colpite dalla deindustrializzazione.

È interessante notare come il declino industriale tedesco vada ben oltre i confini della Germania e vada a impattare fortemente anche l'economia del nostro paese (che non a caso non brilla in questi mesi nonostante alcune flessibilità di spesa usate dall'attuale Governo). Si paga in parte il prezzo di decenni di politiche industriali miopi che hanno legato il destino dell'industria del nord del Paese all'economia tedesca. La Lombardia, il Veneto e l'Emilia-Romagna, regioni tradizionalmente caratterizzate da un tessuto di piccole e medie imprese altamente specializzate, si sono trovate in una posizione di dipendenza come subfornitrici dell'industria tedesca. Questa scelta strategica, che sembrava vantaggiosa nei periodi di crescita dell'economia tedesca, rivela ora tutti i suoi limiti.

L'economia europea potrebbe risentire a lungo termine delle difficoltà industriali tedesche. Con la base manifatturiera tedesca in discussione, l'UE affronta rischi in termini di stabilità del PIL, occupazione e innovazione. Come noto i giganti dai piedi d'argilla fanno paura ma cadono poi facilmente alle prime difficioltà. Gli effetti a catena di questi anni potrebbero creare nuove divisioni economiche all'interno dell'Europa e amplificare i sentimenti di avversione per una struttura fragile e senza visione com'era quella su cui l'Unione Europea è stata costruita 30 annni fa. Domande urgenti a cui qualcuno dovrà trovare risposte coraggiose che difficilmente potranno essere date dai falsi eroi del passato. "Whatever it takes.."

 
 

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