L’India guarda negli occhi il mondo: Modi e la nuova via tra potenze, pace e potere
- Giando
- Mar 19
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L’intervista tra Lex Fridman, noto podcaster e ricercatore del MIT, e Narendra Modi, presidente indiano è una di quelle conversazioni che lasciano il segno. Non solo per la statura del personaggio, ma per la straordinaria capacità del leader indiano di toccare con mano le questioni più scottanti della geopolitica contemporanea, con uno stile che mescola pragmatismo, spiritualità e visione a lungo termine. Ecco un approfondimento dei dieci temi chiave emersi, spiegati con tutto il respiro che meritano.

Modi non perde occasione per ribadire come l’India sia storicamente una nazione portatrice di pace. Ma attenzione: non si tratta solo di una posizione diplomatica di facciata. La cultura millenaria indiana, sostiene, è intrisa di armonia e non-violenza, plasmata da figure come Buddha e Gandhi. Questo bagaglio di saggezza diventa oggi, a suo avviso, un potente strumento di influenza. Il mondo guarda all’India quando si parla di mediazione, perché la neutralità e la calma del subcontinente contrastano con il caos e le tensioni internazionali.
E proprio sulla guerra in Ucraina, Modi si sbilancia come pochi altri leader globali. Rivendica la possibilità di sedersi a parlare sia con Putin che con Zelensky, forte di rapporti bilaterali di lungo corso. Ma, e qui sta la chiave, non lo fa da osservatore distaccato: «Non sono neutrale, sono dalla parte della pace» dice con fermezza. Il messaggio è chiaro: non esiste soluzione sul campo di battaglia. La diplomazia e il tavolo dei negoziati sono, secondo lui, l’unico sentiero realistico, e l’India è pronta a guidare questa difficile transizione.
Quando si parla di India e Pakistan, il terreno diventa minato. Due potenze nucleari, una storia recente segnata da conflitti e, al centro, la questione del terrorismo. Modi non si tira indietro: ammette che, sin dall’inizio del suo mandato, ha provato ad aprire nuovi canali di dialogo, perfino invitando il premier pakistano alla sua cerimonia di insediamento. Ma ogni sforzo, dice amaramente, è stato accolto con tradimento e provocazioni. Dietro le sue parole c’è la frustrazione per il mancato cambio di rotta di Islamabad, e un avvertimento chiaro: finché il Pakistan continuerà a sostenere il terrorismo, la pace rimarrà una chimera.
Tuttavia, Modi non si chiude a chiave dietro i cancelli del passato. Guarda avanti, scommettendo sul fatto che anche il popolo pakistano sia stanco di instabilità e violenza. Sottolinea che la convivenza pacifica non è solo una necessità strategica, ma un desiderio umano profondo. Una frecciatina velata? Forse. Ma il messaggio è che la palla, adesso, è nel campo di Islamabad, e l’India aspetta solo che qualcuno lì scelga finalmente la via della saggezza.
Sul fronte delle relazioni con le superpotenze, Modi dimostra di avere ben chiaro il proprio posizionamento. L’India non si lascia intimidire da nessuno, né guarda con soggezione alle grandi potenze. L’immagine che propone è quella di una nazione che cammina a testa alta, né sopra né sotto gli altri, ma allo stesso livello. Questo atteggiamento ha consentito a New Delhi di dialogare senza complessi sia con gli Stati Uniti che con la Cina, mantenendo un equilibrio delicato e decisivo in un mondo sempre più polarizzato.
Con Washington, i rapporti sono stretti e consolidati: basti pensare agli eventi come “Howdy Modi” o al rapporto personale con Trump e Biden. Con Pechino, il discorso è più complesso. Modi non nasconde le recenti tensioni, in particolare quelle legate ai confini. Ma rivendica il valore millenario della relazione sino-indiana, fatta di scambi, cultura e cooperazione. In altre parole: le frizioni non possono cancellare secoli di storia comune, e prima o poi sarà necessario ritrovare un dialogo stabile.
Molto interessante è l’attenzione che Modi riserva al cosiddetto Sud Globale. In un mondo in cui i riflettori sono spesso puntati solo su Europa, USA e Cina, lui ricorda che i veri danni delle guerre e delle crisi ricadono soprattutto sui Paesi in via di sviluppo. Crisi energetiche, scarsità di fertilizzanti, inflazione alimentare: chi paga il prezzo più alto sono proprio quei popoli che storicamente sono stati emarginati dai tavoli che contano. E l’India si propone come loro voce, il ponte che può collegare le esigenze del Sud Globale con i giochi di potere delle grandi economie.
In questa visione multilaterale, Modi inserisce anche una critica pungente agli organismi internazionali. ONU, G20, FMI: tutte istituzioni che, nate in un altro secolo, non riescono più a riflettere il mondo di oggi. Per lui è tempo di una riforma profonda, che dia più spazio a Paesi emergenti come l’India e che aggiorni le logiche di governance globale. Non si tratta solo di rivendicare un seggio al Consiglio di Sicurezza, ma di proporre un modello multipolare più rappresentativo ed equo.
Modi è convinto che la sostenibilità e l’indipendenza tecnologica siano due dei pilastri sui quali l’India può guadagnare peso geopolitico. Ne è esempio la sua proposta di “One Sun, One World, One Grid”, un progetto che mira a creare un'unica rete solare globale. Ma l’idea è più ampia: legare la transizione ecologica a un nuovo equilibrio politico. Un’India che guida il rinnovamento verde è anche un’India che può smarcarsi dalle dipendenze energetiche e rafforzare la propria autonomia.
Questa filosofia si riflette anche nel modo in cui Modi guarda al futuro dei rapporti con la Cina. Se è vero che la competizione esiste, è altrettanto vero che le economie di Pechino e New Delhi sono interconnesse. Modi non nega la rivalità, ma insiste sul fatto che entrambi i Paesi abbiano tutto da guadagnare da un dialogo pragmatico. Ricorda che, in passato, India e Cina rappresentavano metà del PIL mondiale. Il suo sottinteso è chiaro: perché non recuperare quell’antico equilibrio, costruendo un modello di crescita che benefici entrambi?
Tra i passaggi più umani dell’intervista, spiccano quelli dedicati al rapporto personale di Modi con Donald Trump. Modi racconta aneddoti gustosi, come la passeggiata improvvisata allo stadio durante l’evento “Howdy Modi”, che coglieva di sorpresa perfino i servizi segreti americani. Più che un semplice gioco di protocolli, Modi evidenzia la fiducia reciproca che si era creata tra i due leader. Una fiducia basata sulla condivisione di una filosofia comune: mettere il proprio Paese al primo posto, senza complessi, ma anche senza chiudersi al mondo.
Il legame personale si inserisce, naturalmente, in una strategia ben più ampia. Modi sa che le relazioni internazionali sono fatte anche di rapporti umani, di gesti informali che spesso sfuggono alle analisi dei media. E questo vale non solo con Trump, ma con molti altri interlocutori: Elon Musk, Tulsi Gabbard, Vivek Ramaswamy. Con tutti, dice Modi, ha cercato di instaurare una relazione diretta, senza intermediari. Perché la vera diplomazia si fa, prima di tutto, da essere umano a essere umano.
Non poteva mancare, infine, un richiamo ai giovani e al futuro. Modi parla da leader, sì, ma anche da uomo che ha vissuto la povertà e che sa cosa significhi partire dal basso. Ai giovani dice di non cedere alle scorciatoie, di non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà. La notte più buia, assicura, è sempre destinata a lasciare spazio all’alba. L’importante è non smettere mai di imparare, mantenere viva la curiosità e concentrarsi sul “fare”, non solo sull’ottenere.
In sintesi, l’intervista con Lex Fridman mostra un Modi a tutto tondo: politico, mediatore, filosofo e, in un certo senso, pedagogo globale. Le sue parole non sono solo per l’India, ma per chiunque voglia comprendere i delicati equilibri che oggi tengono insieme (o rischiano di far crollare) il mondo.