Alla Casa della Cultura di Milano, un dibattito di alto profilo ha messo a fuoco una delle questioni più urgenti del nostro tempo: come ripensare i processi di liberazione nell'era contemporanea. Al centro della discussione, il libro "Liberazione" del professor Ernesto Screpanti, che propone una rilettura radicale dei meccanismi di trasformazione sociale. L'opera, che si colloca nel solco della tradizione marxista pur superandone molti limiti, offre strumenti teorici innovativi per comprendere e promuovere il cambiamento sociale.
Il fulcro teorico del libro ruota attorno alla cruciale distinzione tra libertà e autonomia, concetti spesso confusi nel dibattito politico contemporaneo. La libertà, ha spiegato Screpanti, va intesa come l'insieme oggettivo delle opportunità di scelta disponibili a un individuo in un determinato contesto storico e sociale. Questa definizione permette di misurare e confrontare i gradi di libertà in diverse situazioni: per esempio, una donna in una società che impone l'hijab ha oggettivamente meno libertà di una donna in una società che le permette di scegliere come vestirsi.
L'autonomia, d'altra parte, riguarda la capacità soggettiva di compiere scelte consapevoli e volontarie. Screpanti distingue tra "autonomia adattiva", quando l'individuo interiorizza e fa propri i valori dominanti, e "autonomia liberatoria", quando sviluppa una coscienza critica e compie scelte alternative ai modelli imposti. Questa distinzione permette di comprendere come persone apparentemente "libere" possano in realtà mancare di vera autonomia, e come la stessa azione (per esempio, indossare un velo) possa essere frutto di coercizione in un caso e di scelta autonoma in un altro.
La concezione della natura umana proposta da Screpanti si basa su un'analisi empirica dei bisogni, superando sia l'individualismo metodologico dell'economia neoclassica sia il collettivismo astratto di certo marxismo. I bisogni edonici, legati alla sopravvivenza e al benessere materiale, sono fondamentali ma non esauriscono la complessità della motivazione umana. Gli esseri umani sono mossi anche e soprattutto da bisogni eudemonici: il bisogno di autonomia, di autorealizzazione e di socialità significativa.
Questa visione più ricca e sfumata della natura umana permette di comprendere perché gli individui possano accettare condizioni di oppressione apparentemente contrarie ai loro interessi. Non si tratta semplicemente di "falsa coscienza", ma di complessi meccanismi psicologici di adattamento che permettono di sopportare situazioni altrimenti intollerabili. La soddisfazione dei bisogni eudemonici viene spesso sacrificata o sublimata, portando a quello che Screpanti definisce "adattamento infelice".
Tuttavia, questa condizione di adattamento non è irreversibile. Attraverso processi di "svelamento", gli individui possono prendere coscienza delle vere cause del loro malessere e sviluppare forme di autonomia liberatoria. Questo processo non è puramente intellettuale ma coinvolge dimensioni emotive e relazionali. La consapevolezza emerge spesso attraverso esperienze concrete di lotta e di solidarietà, che permettono di sperimentare forme alternative di socialità e di realizzazione personale.
La discussione si è poi concentrata sulle forme organizzative dei movimenti di liberazione, confrontando due modelli storici fondamentali. Il modello machiavelliano, esemplificato dalle grandi rivoluzioni del passato, si basa sull'idea di un'avanguardia illuminata che prende il potere per trasformare la società. Questo modello, per quanto storicamente importante, ha mostrato limiti evidenti: una volta conquistato il potere, l'avanguardia tende a mantenerlo, trasformandosi in nuova élite dominante.
Il modello gramsciano, d'altra parte, enfatizza l'importanza della trasformazione culturale e dell'auto-organizzazione popolare. La liberazione non può essere imposta dall'alto ma deve emergere da un lungo lavoro di costruzione di egemonia alternativa, in cui le classi subalterne sviluppano propri valori e proprie forme organizzative. Questo approccio, secondo Screpanti, è più adatto alle sfide contemporanee, anche se richiede tempi più lunghi e risultati meno immediati.
La riflessione sul ruolo delle nuove tecnologie nei processi di liberazione ha occupato una parte significativa del dibattito. Internet e i social media hanno creato possibilità senza precedenti per la comunicazione e l'organizzazione dei movimenti sociali, come dimostrato dalle recenti mobilitazioni globali pro-Palestina. Tuttavia, questi strumenti sono profondamente ambivalenti: se da un lato permettono forme di auto-organizzazione impossibili nel passato, dall'altro sono controllati da grandi corporazioni e soggetti a forme sofisticate di sorveglianza e manipolazione.
La soluzione, è emerso dal dibattito, non sta nel rifiuto delle nuove tecnologie ma nel loro uso consapevole e strategico. È possibile, suggerisce Screpanti, sviluppare forme di "contropotere digitale" utilizzando gli strati meno commerciali di Internet, creando reti alternative e sistemi di comunicazione più resistenti al controllo. L'esempio dei movimenti no-global dei primi anni 2000, che riuscirono a coordinare mobilitazioni globali attraverso reti autogestite, mostra le potenzialità di questo approccio.
Il tema dell'informazione è emerso come cruciale per qualsiasi prospettiva di cambiamento. I media mainstream, profondamente integrati nelle strutture di potere esistenti, non possono essere la fonte primaria di informazione per i movimenti di liberazione. È necessario sviluppare canali alternativi di comunicazione, ma anche nuove forme di alfabetizzazione critica che permettano di decodificare i messaggi dei media dominanti.
Questo sforzo di costruzione di contro-informazione non può limitarsi alla denuncia o alla critica. Deve includere la capacità di elaborare narrazioni alternative, di connettere le esperienze locali con dinamiche globali, di costruire reti di condivisione di conoscenze e pratiche. Il movimento no-global, ancora una volta, ha fornito esempi importanti di come questa sfida possa essere affrontata.
La discussione sulla natura non lineare dei processi rivoluzionari ha permesso di superare visioni semplicistiche del cambiamento sociale. Le rivoluzioni non sono eventi puntuali ma processi complessi che si sviluppano attraverso fasi di accelerazione e rallentamento, avanzamenti e arretramenti. Questa comprensione permette di valutare diversamente anche apparenti "sconfitte": il '68, per esempio, pur non avendo raggiunto i suoi obiettivi più radicali, ha prodotto trasformazioni profonde nella società, particolarmente rispetto ai diritti delle donne e alle relazioni di genere.
La complessità dei processi rivoluzionari richiede anche di ripensare il ruolo della leadership. Se storicamente le rivoluzioni hanno sempre avuto leader carismatici, oggi è possibile immaginare forme più distribuite e collettive di direzione. L'emergere di "sistemi complessi" e "reti autopoietiche" suggerisce la possibilità di movimenti capaci di auto-organizzarsi senza centri di comando fissi.
La trasformazione del lavoro nell'era dell'intelligenza artificiale è emersa come terreno cruciale di conflitto. La progressiva automazione non solo minaccia posti di lavoro ma mette in discussione il senso stesso del lavoro nella società contemporanea. Questa crisi, suggerisce Screpanti, può diventare occasione per ripensare radicalmente il rapporto tra lavoro, libertà e realizzazione personale. Non si tratta solo di difendere il lavoro esistente ma di immaginare nuove forme di attività produttiva basate sull'autonomia e la creatività.
Il superamento della dicotomia tra individualismo e collettivismo rappresenta uno dei contributi più originali del libro. La liberazione non può essere né puramente individuale né puramente collettiva: deve coinvolgere simultaneamente la trasformazione delle strutture sociali e la crescita dell'autonomia personale. Questa visione dialettica permette di comprendere meglio come i cambiamenti personali e sociali si alimentino reciprocamente.
Il lavoro su se stessi emerge così non come alternativa all'impegno politico ma come sua componente essenziale. La capacità di riconoscere e superare le proprie limitazioni, di sviluppare nuove forme di relazione, di immaginare alternative al presente, sono prerequisiti per qualsiasi processo di liberazione collettiva. L'esperienza del movimento umanista, richiamata nel dibattito, offre esempi concreti di come questo lavoro personale e politico possa essere integrato.
In conclusione, il dibattito ha mostrato come "Liberazione" offra strumenti teorici preziosi per ripensare i processi di emancipazione nel mondo contemporaneo. Combinando rigore analitico e sensibilità per le sfide concrete dei movimenti sociali, Screpanti propone una visione della liberazione che è al tempo stesso radicale nelle sue aspirazioni e realistica nei suoi metodi. In un'epoca segnata da crisi multiple e apparentemente priva di alternative, questo contributo appare particolarmente prezioso.