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Writer's pictureFederica Gori

Riaprire il dibattito sulle radici dello sviluppo economico


Il recente Premio Nobel per l'Economia assegnato a Daron Acemoglu, Simon Johnson e James A. Robinson per il loro lavoro sulle istituzioni e lo sviluppo economico ha riacceso il dibattito sulle origini e le implicazioni della loro influente tesi sul "colonialismo di insediamento". Mentre la loro ricerca è stata ampiamente lodata per aver fornito nuove intuizioni sulle radici storiche della disuguaglianza globale, alcuni studiosi sostengono che elementi chiave del loro argomento presentino sorprendenti somiglianze con precedenti analisi marxiste che non sono state riconosciute.


Al centro della teoria di Acemoglu, Johnson e Robinson (AJR) c'è l'idea che diversi tipi di colonizzazione abbiano portato a risultati istituzionali divergenti, con profonde conseguenze per lo sviluppo economico a lungo termine. Sostengono che nelle aree in cui i coloni europei potevano facilmente stabilirsi grazie a condizioni geografiche e ambientali favorevoli, crearono istituzioni inclusive favorevoli a una crescita economica diffusa. Al contrario, in aree meno ospitali, le potenze coloniali istituirono istituzioni estrattive progettate per trasferire risorse alla madrepatria, frenando lo sviluppo a lungo termine. Questo quadro ha avuto un'enorme influenza nell'economia e nella scienza politica. Offre una spiegazione istituzionale per la netta divergenza nei risultati economici tra ex colonie come gli Stati Uniti e l'Australia da un lato, e gran parte dell'Africa e dell'Asia dall'altro. La tesi AJR ha plasmato il modo in cui molti studiosi e politici pensano alle profonde radici storiche della disuguaglianza globale. Tuttavia, alcuni critici sostengono che le intuizioni fondamentali di questa tesi fossero state articolate decenni prima da economisti politici marxisti, in particolare da Paul Baran nel suo libro del 1957 "L'economia politica della crescita". Baran aveva similmente indicato i percorsi divergenti delle colonie di insediamento rispetto alle colonie estrattive come chiave per comprendere i modelli di sviluppo globale. Enfatizzava come le condizioni climatiche favorevoli in alcune regioni avessero permesso un insediamento europeo su larga scala, portando a risultati economici e politici molto diversi rispetto alle colonie tropicali. I paralleli tra il precedente lavoro di Baran e la più recente tesi AJR sono effettivamente sorprendenti. Entrambi evidenziano il ruolo della geografia e dell'ambiente di malattia nel plasmare i modelli di insediamento coloniale. Entrambi tracciano una netta distinzione tra colonie di insediamento che svilupparono istituzioni più inclusive e colonie estrattive orientate all'estrazione di risorse. Ed entrambi vedono queste prime differenze coloniali come aventi profonde conseguenze a lungo termine per lo sviluppo economico. Eppure, nonostante queste somiglianze, il contributo pionieristico di Baran rimane in gran parte non riconosciuto nella letteratura contemporanea dell'economia istituzionale. Ciò solleva importanti questioni sulla genealogia delle idee nell'economia dello sviluppo e sui modi in cui le precedenti prospettive dell'economia politica radicale sono state assorbite nel discorso mainstream. Ci sono, tuttavia, alcune differenze chiave tra gli approcci marxisti e quelli della nuova economia istituzionale che è importante notare. Mentre Baran enfatizzava l'estrazione del surplus economico da parte delle potenze imperiali come meccanismo chiave alla base del sottosviluppo, AJR si concentrano maggiormente sulle eredità istituzionali di diverse forme di colonialismo. L'inquadramento marxista si centra sul conflitto e lo sfruttamento, mentre l'approccio della nuova economia istituzionale enfatizza le strutture di incentivi e i diritti di proprietà. Questo spostamento di enfasi dai processi di estrazione alle forme istituzionali riflette cambiamenti più ampi nel pensiero economico negli ultimi decenni. Ha anche implicazioni significative per come vengono concettualizzate e affrontate le sfide di sviluppo che le ex colonie devono affrontare. Un inquadramento estrattivo punta verso la necessità di cambiamenti radicali nelle relazioni economiche globali, mentre un approccio istituzionale suggerisce soluzioni più tecnocratiche concentrate sulle riforme della governance interna. Recenti critiche hanno anche sollevato dubbi sulle basi empiriche della tesi AJR. Il documento del 2012 di David Albouy ha evidenziato problemi con i dati sulla mortalità utilizzati come proxy per la fattibilità dell'insediamento europeo, notando che in molti casi riflettevano i tassi di mortalità dei soldati piuttosto che dei coloni. Ciò potenzialmente mina un pilastro chiave dell'argomento AJR e suggerisce che la loro storia potrebbe allinearsi più strettamente con i resoconti marxisti centrati sul conflitto di quanto precedentemente riconosciuto. Baran sostiene che il sottosviluppo di molti Paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina non è stato un incidente o il risultato di un'arretratezza intrinseca, ma piuttosto una conseguenza diretta dello sfruttamento capitalistico occidentale. Egli sostiene che le potenze occidentali hanno sistematicamente estratto ricchezza e risorse da queste regioni, bloccando la loro crescita economica e distorcendo il loro sviluppo. Ciò ha creato una situazione in cui i Paesi sottosviluppati non sono stati in grado di accumulare capitale e investire in imprese produttive, anche se le loro risorse sono state utilizzate per alimentare la crescita capitalistica in Occidente. L'autore esamina anche il caso del Giappone come eccezione che conferma la regola. L'autore sostiene che, poiché il Giappone è stato in grado di evitare di essere trasformato in una colonia o in una dipendenza delle potenze occidentali, alla fine del XIX secolo ha avuto l'opportunità di uno sviluppo capitalistico indipendente. Ciò ha permesso al Giappone di sfruttare il proprio surplus economico per investimenti interni e industrializzazione, invece di essere estratto da potenze straniere. Baran ritiene che ciò dimostri che il sottosviluppo non era inevitabile, ma piuttosto il risultato di specifici processi storici di imperialismo e sfruttamento. L'imperialismo e il capitale straniero, secondo l'analisi di Baran, hanno giocato un ruolo cruciale nel mantenere e accentuare il sottosviluppo dei paesi arretrati. Baran evidenzia come gli investimenti stranieri, lungi dal promuovere uno sviluppo autonomo, abbiano spesso creato economie di enclave, focalizzate sull'estrazione di risorse naturali o sulla produzione di poche materie prime agricole per l'esportazione. Questo modello, esemplificato dai casi del Medio Oriente petrolifero o delle piantagioni in America Latina, ha generato una dipendenza strutturale dai mercati esteri e impedito la formazione di un mercato interno dinamico. Inoltre, Baran sottolinea come gran parte del surplus economico generato da queste attività sia stato drenato all'estero sotto forma di profitti o sprecato in consumi di lusso delle élite locali, privando questi paesi delle risorse necessarie per un'industrializzazione autonoma. Come alternativa a questo modello di sviluppo distorto, Baran propone la pianificazione economica socialista. Questo approccio, secondo l'autore, permetterebbe di mobilitare pienamente il surplus economico potenziale dei paesi arretrati, indirizzandolo verso investimenti produttivi finalizzati all'industrializzazione e alla diversificazione economica. La pianificazione consentirebbe inoltre di superare i colli di bottiglia tipici delle economie arretrate, coordinando lo sviluppo dei diversi settori. Un elemento chiave di questa strategia è la cooperazione economica tra paesi socialisti, che secondo Baran potrebbe fornire mercati stabili, assistenza tecnica e finanziaria, permettendo di superare i limiti delle piccole dimensioni di molte economie arretrate. Questo modello di sviluppo, basato su una rottura netta con l'imperialismo, viene presentato come l'unica via per un'autentica emancipazione economica dei paesi del Terzo Mondo. Questi dibattiti evidenziano le complesse linee intellettuali delle idee influenti nell'economia dello sviluppo. Sottolineano l'importanza di impegnarsi criticamente con i paradigmi dominanti e di scavare nelle loro radici intellettuali spesso oscurate. Riconoscere i contributi di precedenti economisti politici radicali come Baran può arricchire la nostra comprensione delle sfide di sviluppo globale e aprire nuove prospettive su potenziali soluzioni. In definitiva, mentre il recente Premio Nobel evidenzia l'impatto significativo della tesi AJR, dovrebbe anche stimolare un rinnovato impegno con la più ampia storia intellettuale dell'economia dello sviluppo. Tracciando l'evoluzione delle idee sul colonialismo, le istituzioni e i risultati economici, possiamo sviluppare quadri più sfumati per comprendere e affrontare le disuguaglianze globali radicate nei processi storici di estrazione e sviluppo diseguale.

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