Quando nel 1973 Stefano Rodotà pubblicava "Elaboratori elettronici e controllo sociale", il mondo stava attraversando una fase cruciale nella storia delle tecnologie dell'informazione. Quello stesso anno, il golpe cileno non solo rovesciava il governo democratico di Salvador Allende, ma segnava simbolicamente la fine di un approccio alternativo all'informatica, incarnato dal progetto Cybersyn. Il libro di Rodotà, riletto oggi alla luce di questi eventi e degli sviluppi successivi, si rivela straordinariamente profetico nelle sue analisi e ancora attuale nelle sue proposte.
La tesi centrale del libro è che gli elaboratori elettronici non sono strumenti neutrali, ma incorporano visioni politiche e possono essere utilizzati sia per il controllo sociale che per l'empowerment democratico. Come scrive Rodotà: "Non è pensabile una impostazione che tenda a semplificare il rapporto tra impiego degli elaboratori e tutela della sfera privata, ignorando le diversità appena ricordate e proponendo un quadro istituzionale unitario". Questa intuizione trova conferma nella ricostruzione storica proposta dal professor Andrea Cerroni a un recente seminario del centro NEXA del Politecnico di Torino, che evidenzia la profonda divergenza tra due scuole di pensiero: la cibernetica di Norbert Wiener e l'intelligenza artificiale di von Neumann.
La cibernetica di Wiener vedeva la tecnologia come strumento di empowerment umano, basato su principi di feedback bidirezionale e decentralizzazione. Il progetto Cybersyn cileno ne fu la più ambiziosa applicazione pratica: un sistema che permetteva il coordinamento dell'economia nazionalizzata attraverso una rete di comunicazione bottom-up, dove ogni nodo manteneva un grado di autonomia. L'AI di von Neumann, al contrario, nasceva con l'obiettivo di "razionalizzare gli umani", imponendo dall'alto una visione della razionalità matematico-deduttiva.
Rodotà aveva già individuato i rischi di un uso oppressivo delle tecnologie dell'informazione, citando casi concreti come le schedature SIFAR e FIAT in Italia. "La società dei dossier ha ormai molti anni di vita", scriveva, "ed è stata edificata sugli archivi tradizionali". Tuttavia, l'avvento degli elaboratori elettronici rendeva il problema più urgente, permettendo una "trasformazione di informazioni disperse in informazione organizzata" su scala mai vista prima.
La soluzione proposta da Rodotà non era il rifiuto della tecnologia, ma una sua regolamentazione democratica attraverso quello che chiamava un "quadro istituzionale rinnovato". Questo doveva basarsi su una "riclassificazione" delle informazioni, distinguendo tra dati che dovevano rimanere riservati (come le opinioni politiche), dati che potevano/dovevano essere pubblici (come le informazioni economiche di interesse collettivo) e dati che richiedevano garanzie speciali.
Un punto centrale dell'analisi di Rodotà era l'inadeguatezza del consenso individuale come unica tutela. In presenza di forti asimmetrie di potere, il consenso diventa una finzione giuridica che maschera forme di coercizione. Come scrive: "Dire che talune informazioni possono essere assunte, schedate o fatte circolare solo perché l'interessato ha dato il suo consenso, significa essere ciechi o ipocriti".
La visione di Rodotà si collegava implicitamente alla tradizione cibernetica di Wiener, che vedeva la tecnologia come potenziale strumento di democratizzazione. Come evidenzia Cerroni, questo approccio fu sconfitto politicamente insieme al progetto Cybersyn e alla Primavera di Praga, cedendo il passo a una visione della tecnologia funzionale al nuovo ordine neoliberista.
L'ascesa del neoliberismo portò infatti con sé il trionfo dell'approccio all'informazione incarnato dall'AI di von Neumann e sviluppato dalla scuola di Herbert Simon. Un approccio che, come nota Cerroni, vedeva la mente umana principalmente come dispositivo computazionale limitato, da "correggere" attraverso la razionalità delle macchine.
Questa visione si intrecciava perfettamente con l'ideologia del libero mercato: entrambe condividevano una concezione riduzionista che vedeva la realtà sociale come somma di decisioni individuali guidate da una razionalità puramente strumentale. Non a caso, ricorda Cerroni, i Chicago Boys che ridisegnarono l'economia cilena dopo il golpe erano strettamente legati a questa scuola di pensiero.
Il libro di Rodotà anticipava molte delle questioni oggi al centro del dibattito sull'AI e la privacy digitale. La sua insistenza sulla necessità di un controllo democratico delle tecnologie dell'informazione risuona particolarmente attuale nell'era dei social media e del capitalismo della sorveglianza.
La sua proposta di una "riclassificazione" delle informazioni offre ancora spunti preziosi per ripensare la governance dei dati. Come sottolinea Cerroni, oggi più che mai serve distinguere tra una visione "conviviale" della tecnologia, orientata all'empowerment democratico, e una puramente strumentale al potere economico-militare.
Particolarmente attuale è l'enfasi di Rodotà sulla necessità di andare oltre la semplice tutela individuale della privacy. Come scriveva: "Non si tratta di fornire all'individuo un habeas scriptum come mezzo di difesa contro l'elaboratore, ma di consegnargli quest'ultimo come mezzo di controllo e partecipazione sociale".
Questa visione si collega alle proposte contemporanee per una governance democratica dell'AI, che vedono la necessità di forme di controllo collettivo e partecipativo sullo sviluppo tecnologico. Come evidenzia Cerroni, citando l'esperienza di Cybersyn, è possibile immaginare sistemi tecnologici che favoriscano la partecipazione dal basso pur mantenendo un coordinamento centrale.
La lezione fondamentale che emerge tanto dal libro di Rodotà quanto dall'analisi storica di Cerroni è che la tecnologia non è mai neutrale: incorpora sempre visioni politiche e può essere progettata per servire sia il controllo autoritario che l'empowerment democratico. In un'epoca in cui l'AI promette (o minaccia) di ridisegnare radicalmente la società, questa consapevolezza è più importante che mai.
La sfida attuale è recuperare quella visione alternativa della tecnologia dell'informazione che fu sconfitta politicamente negli anni '70: una visione che vede gli strumenti digitali non come mezzi di controllo dall'alto, ma come potenziali strumenti di partecipazione democratica e sviluppo umano. Le analisi di Rodotà, cinquant'anni dopo, ci offrono ancora preziosi strumenti concettuali per affrontare questa sfida.